Le relazioni di coppia. Strategie di comunicazione disfunzionali

Scritto da Gargantini Claudio il 29 settembre 2010  

“L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare
ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi”

Oscar Wilde

Uno dei metodi più efficaci per mettere a punto una strategia o per scegliere uno strumento utile a certi scopi consiste nell’individuare prima di tutto le cose sicuramente fallimentari da evitare. Nella tradizione dell’arte dello stratagemma viene utilizzato il metodo:«Se vuoi drizzare una cosa, impara prima tutti i metodi per storcerla di più».
Ingredienti capaci di condurre il dialogo tra partner al fallimento catastrofico relazionale:

Puntualizzare
Un tratto che caratterizza le persone intelligenti nelle loro relazioni è la tendenza a puntualizzare le situazioni e le condizioni, le sensazioni e le emozioni nel rapporto con l’altro, per tenere sotto controllo e programmare nel miglior modo possibile la relazione. Questa modalità di interazione può evitare equivoci e incomprensioni, ma può diventare ridondante e trasformarsi in un atto che, invece di prevenire i problemi, li alimenta. Poche cose sono così fastidiose quanto il sentirsi spiegare come stanno i fatti e come dovrebbero essere per funzionare meglio. Spesso è il modo in cui il partner ci dice le cose che ci irrita e fa nascere in noi la voglia selvaggia di trasgredire le regole della relazione. La persona così ragionevole e saggia che ci troviamo di fronte si trasforma in un magnifico rompiscatole. Proprio come un farmaco somministrato in dosi eccessive si trasforma in veleno, così le cose buone producono effetti cattivi semplicemente a causa del sovraddosaggio. La strategia della puntualizzazione potrebbe essere definita una “perversione della razionalità”.

Recriminare
Il recriminare trasforma il suo oggetto, ovvero le colpe dell’altro, in diritti legittimi. La requisitoria subita ci fa sentire quasi innocenti e la colpa, anche se molto grave, perde di forza. Il recriminare, ovvero il puntualizzare le colpe dell’altro, tende a produrre nell’accusato reazioni emotive di ribellione. Questa reazione emotiva cancella la colpa e fa nascere solo la voglia di scappare o di aggredire.

Rinfacciare
Rinfacciare è un atto comunicativo che induce a esacerbare invece che a ridurre ciò che vorrebbe correggere. Quando veniamo sottoposti alla strategia del vittimismo da parte di una persona cara che ci accusa di averla fatta soffrire con le nostre azioni e abbiamo sentito, più che un senso di colpa, un’irrefrenabile sensazione di rabbia nei confronti di chi vuole inchiodarci alle nostre mancanze affettive e ai nostri egoismi, siamo nella posizione ideale per comprendere le conseguenze del rinfacciare. Colui che rinfaccia si pone come vittima dell’altro. Chi si pone come «vittima» costruisce i propri «aguzzini». La vittima si sentirà sempre più calata in questo ruolo e questo scatenerà un’ulteriore reazione di rifiuto o di aggressione da parte di chi viene fatto sentire in colpa.

Predicare
Il predicare rappresenta il trasporre nella relazione a due un metodo preso a prestito dalla sfera del sermone morale e religioso. La struttura del fare la predica è il proporre ciò che è giusto o ingiusto a livello morale e, sulla base di ciò, esaminare e criticare il comportamento altrui. L’effetto di questa azione comunicativa è di far venire la voglia, anche in chi non ce l’ha, di trasgredire le regole morali poste a fondamento della predica stessa. È interessante notare come all’interno di una «buona predica» possiamo trovare sia la recriminazione che la puntualizzazione e il rinfaccio vittimistico. In questo caso il fare prediche rappresenta la quintessenza di un dialogo disastroso.

«Te l’avevo detto»
Esistono forme minori di comunicazione, meno articolate ma tuttavia in grado di provocare con grande probabilità di successo l’irritazione e l’allontanamento del partner. Queste, di solito, sono singoli atti comunicativi e non sequenze interattive, eppure il loro potere evocativo è formidabile. Riescono immediatamente ad evocare nell’altro le sensazioni di provocazione, irritazione o squalifica. La madre di queste è senza dubbio la classica sentenza pronunciata in seguito a qualche accadimento spiacevole: «Te l’avevo detto». Esistono anche alcune varianti di questa sentenza come per esempio:«lo sapevo io…». Se io sono già arrabbiato con me stesso perché ho commesso un errore, il fatto che l’altro mi faccia notare che l’ho commesso dal momento che non gli ho dato retta – ammesso che questo sia vero e non sia solo una sua impressione – non mi aiuta affatto, anzi, mi fa imbestialire ancor di più con me stesso e con lui. Quando pronunciamo questa «frasetta»ci trasformiamo nel parafulmine della rabbia del nostro partner, al quale diamo la possibilità di dirottare contro di noi tutta la carica che aveva contro di sé a causa del suo fallimento.

«Lo faccio solo per te»
In questa maniera viene dichiarato un sacrificio unidirezionale da parte di uno dei due membri della relazione: questo non solo fa sentire l’altro in debito, ma lo costringe anche a subire qualcosa che lo fa sentire inferiore, poiché bisognoso di un “generoso” atto altruistico. È comprensibile come questo messaggio, che il più delle volte arriva non richiesto, sia molto irritante perché mette in una condizione emotiva ambivalente: dovrei ringraziarlo per la generosità, ma sono in difficoltà perché non è stata da me né desiderata né richiesta. Un atto altruistico dichiarato si trasforma in una manovra decisamente egoistica. Se io non pretendo il riconoscimento del mio sacrificio, l’altro se ne renderà conto da solo e mi sarà doppiamente grato: una volta per il favore ricevuto, la seconda per non averglielo fatto pesare.

«Lascia… faccio io»
Questo è un atteggiamento che veste i panni della gentilezza ma che in realtà nasconde una forma di squalifica delle capacità dell’altro. Si tratta di quelle situazioni dove ci si sostituisce all’altro nell’eseguire un compito, facendo per di più sembrare il nostro agire come un atto di cortesia e attenzione nei suoi confronti. «Cara, lascia, parcheggio io l’auto..»; oppure «caro lascia fare a me questo», eccetera. Un aiuto non richiesto non solo non aiuta, ma danneggia. Questo perché l’atto, se a un livello più superficiale di comportamento comunica una buona intenzione, a un livello emotivo più profondo significa: lascia fare a me perché tu non sei capace.

Il biasimo
Il biasimo non è una critica diretta, non è una contestazione, non è un mettere in dubbio le capacità dell’altro, ma è una sequenza rappresentata da una prima parte in cui ci si complimenta con l’altro e una seconda parte nella quale si afferma che però avrebbe potuto fare di meglio, di più o che ciò non è abbastanza. Il potere formidabile di questa ricetta segreta per rovinare persino la più straordinaria delle relazioni risiede nel contrasto tra la prima e la seconda parte della comunicazione. È una strategia invincibile per creare problemi anche quando non ce n’è nemmeno l’ombra.

Una delle caratteristiche comuni delle suddette forme comunicative descritte è il loro basarsi sulle «migliori intenzioni». L’intenzione che conduce a puntualizzare, recriminare, e così via è il voler migliorare le cose all’interno della relazione, ma l’utilizzo di una strategia non idonea allo scopo produce effetti indesiderati.

Autore: Dott. Claudio Gargantini, Tratto da: Correggimi se sbaglio, Giorgio Nardone, 2005